Lavoro Agile o Smart Working

Lavoro Agile o Smart Working

Nel 1997 il Consiglio Europeo si esprimeva nel seguente modo “ in tutto il mondo le tecnologie dell’
informazione stanno generando una nuova rivoluzione industriale “.
Nella società post-industriale il lavoro tende a destrutturarsi, ad allontanarsi dal classico concetto che lo prevede svolto in sedi centralizzate aspirando invece ad una gestione autonoma, flessibile, soggettiva e decentrata, del proprio lavoro.
In Italia esisteva già una forma di lavoro da remoto, il c.d. Telelavoro, introdotto nell’ ordinamento italiano con la legge 16 giugno 1998 n. 191 che regolamentava il telelavoro nella P.A. poi successivamente esteso al settore privato tramite accordo interconfederale 9 giugno 2004 ( che recepisce l’ accordo quadro europeo del 16 luglio 2002 ).
Il telelavoro prevede che la prestazione venga abitualmente svolta – mediante l’ uso di strumenti e tecnologie informatiche – al di fuori dei locali dell’ azienda ma da postazioni fisse chiaramente definite ( ad es. il telelavoro domiciliare ).
Il lavoro agile, differentemente, consente al lavoratore di gestire in piena autonomia sia il luogo che i tempi della prestazione lavorativa .
Il lavoro agile è disciplinato dalla legge n.81/2017 che definisce all’ art. 18 il lavoro agile come “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile
utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa”. Secondo lo stesso comma la prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una
postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva. Le disposizioni del Capo II “Lavoro agile” della Legge n. 81/17, promuovono il lavoro agile, allo scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
A tal riguardo è plausibile ipotizzare degli effetti negativi nella qualità di vita del lavoratore.
Il primo aspetto fondamentale da osservare con attenzione è la conciliazione dei tempi di vita personale e di lavoro.
Il lavoratore che privo di limiti ovvero regole organizzative precise nella scelta dei tempi e degli spazi in cui
produrre e competere, è indirizzato ad adottare un’ autoregolamentazione tra gestione della produttività,
competitività e tempi di riposo/ svago, potrebbe – anzi è probabile – determinare nel soggetto uno stato di “disordine/squilibrio “ psicologico, una dilatazione del tempo di lavoro, intensificazione e concentrazione dell’orario di lavoro che si intreccia e sovrappone con i tempi di vita fino a poter manifestare, addirittura, una vera e propria dipendenza ovvero rispondere allo stimolo ricorrente di avere un ripetuto contatto con lo strumento tecnologico il ché, semplificando, significherebbe predisposti ad essere sempre e ovunque -anche solo attraverso il pensiero – connesso alla sfera lavorativa.
Se cosi fosse, gli smart workers, dunque potrebbero sviluppare – con maggiore probabilità – patologie riconducibili a Stress lavoro correlato come Techno-stress, burn out o addirittura, come detto precedentemente, adottare un comportamento ricondicibile allo workaholism o work addiction (dipendenza da lavoro).
Negli anni 70’ anche se con modalità ed esigenze lavorative differenti era già stato individuato da Oates (psicologo statunitense) questo grave rischio il quale scriveva “piuttosto che un attività, il lavoro diventa “uno stato d’animo, una via di fuga che libera la persona dal provare emozioni, dall’avere responsabilità, intimità nei confronti degli altri. Ci si rifugia totalmente nel lavoro e questo a lungo andare diventerà un fattore di pericolo per la salute, compromette la felicità, le relazioni interpersonali e l’intero funzionamento” (Oates, 1971) poi approfondito, ampliato e aggiornato da altri autorevoli specialisti e autori “la dipendenza da lavoro è un’esperienza caratterizzata dal bisogno di essere ripetuta con modalità compulsive e presenta i fenomeni del craving, dell’assuefazione e dell’astinenza” (Caretti, La Barbera, 2005).
Il lavoro diventa “uno stato d’animo, una via di fuga che libera il soggetto dall’esperire emozioni, responsabilità, intimità nei confronti degli altri” (Lavanco & Milio, 2006) >>.
Per tale ragione al fine di evitare quanto sopra ipotizzato, è previsto il diritto alla disconnessione che, come vedremo nell’art. 19 presenta però l’ incognita su come garantire questo diritto.
Infatti l’ art. 19 prevede che l’accordo tra le parti individui inoltre i tempi di riposo del lavoratore, nonché le
misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle
strumentazioni tecnologiche di lavoro.
E’ chiaro che risulta piuttosto arduo applicare effettivamente il “diritto alla disconnessione“ e quanto ai poteri di controllo, il datore di lavoro non è in grado di verificare l’ orario di lavoro (ma può evidentemente pressare invece su un prolungamento) quando l’ attività stessa avvenga al di fuori dai locali dell’azienda.
Ulteriori punti della legge 81/2017che presentano criticità interpretativa in merito alla salute e sicurezza si
possono riscontrare negli artt. 21,22,23.
L’ art 21 disciplina l’ esercizio del potere di controllo del latore di lavoro sulla prestazione resa dal lavoratore all’ esterno dai locali aziendali nei limiti di quanto disposto dall’ art 4, Legge n. 300/1970 che al co. 2 (Impianti audiovisivi. (1) ) “non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze”.
Ci si interroga ovviamente, se i dispositivi utilizzati per svolgere l’ attività di lavoro posso essere ritenuti davvero essenziali per la prestazione lavorativa.
L’ art 22 impone al datore di lavoro garantire la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile e a tal fine consegna al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS), con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro.
In questo caso non è specificato se l’ informativa scritta sia acquisibile o meno ad un normale Dvr e soprattutto non è chiaro nell’informativa suddetta, se il datore di lavoro sia obbligato a valutare tutti i rischi connessi allo svolgimento della prestazione all’esterno dei locali (valutazione di fatto inattuabile visto che il luogo della prestazione è scelta dal lavoratore e di fatto è pertanto verosimile non soggetto a controllo).
Una recente sentenza a tal riguardo, sembra interpretare diversamente affermando “ogni tipologia di spazio può assumere la qualità’ di luogo di lavoro, a condizione che ivi sia ospitato almeno un posto di lavoro o esso sia accessibile al lavoratore nell’ambito del proprio lavoro” (Cassazione, 5 ottobre 2017, n. 45808).
Allo stesso tempo la legge impone al lavoratore, di cooperare all’ attuazione delle specifiche misure di prevenzione predisposte dal datore per fronteggiare i rischi connessi all’ esecuzione della prestazione all’esterno dei locali aziendali.
Infine l’ art 23 cerca di applicare il criterio stabilito dall’art 2, d.p.r. n. 1124/1965 in caso d’ infortunio in itinere “disponendo che gli infortuni sul lavoro occorsi durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello prescelto – dal lavoratore – per lo svolgimento della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali” vengano indennizzati “quando la scelta del luogo della prestazione sia dettata da esigenze connesse alla prestazione stessa o dalla necessità del lavoratore di conciliare le esigenze di vita con quelle lavorative e risponda a criteri di ragionevolezza “.
In questo caso, il legislatore, introduce un criterio – ragionevolezza – che è tutt’altro che privo d’ insidie in fase di valutazione.
Sembrerebbe addirittura un criterio determinato ad esaminare la scelta del lavoratore sul luogo della prestazione da svolgere.
A supporto di tale criticità applicativa, interviene anche l’ INAIL con la circolare n. 48 la quale avverte “ai fini dell’indennizzabilità dell’evento infortunistico saranno necessari specifici accertamenti finalizzati a verificare la sussistenza dei presupposti sostanziali della tutela e, in particolare, a verificare se l’attività svolta dal lavoratore al momento dell’evento infortunistico sia comunque in stretto collegamento con quella lavorativa, in quanto necessitata e funzionale alla stessa, sebbene svolta all’esterno dei locali aziendali “.
Il riconoscimento dell’indennizzo potrebbe essere in ultima istanza, condizionata a una ricostruzione delle modalità e delle circostanze in cui si è compiuto l’ infortunio, cosicché si possa ottenere la prova tangibile del reale collegamento con l’ attività lavorativa, prova che è bene evidenziare è a carico del lavoratore.
Per concludere, per quanto lo smart warking possa presentare alcuni aspetti interessanti o comunque degni di attenzione, come illustrato, è del tutto evidente che sono molti i punti che meritano maggiore chiarezza e comprensibilità e che, probabilmente , sarà la giurisprudenza e la psicologia del lavoro e il confronto con le parti sociali ad indicarne la strada precisa .
Nel frattempo, relativamente alla salute e sicurezza, la Fiom Cgil si pone l’ obiettivo di sensibilizzare e supportare gli RLS/RSU, i lavoratori e di fornire dei suggerimenti finalizzati a potenziare, migliorare la gestione e la prevenzione tramite le seguenti indicazioni/informazioni :
– Almeno un incontro semestrale tra RLS/RSU e lavoratori, in cui approfondire e discutere le esperienze degli Smart Workers ed affrontare eventuali criticità emerse in tutti i diversi ambiti coinvolti ( lavorativo e/o vita privata ) e raccogliere possibili suggerimenti .
– Richiedere al datore di lavoro una particolare attenzione per quanto concerne la valutazione dello stress lavoro correlato ovvero di prevedere all’ interno del DVR una valutazione con una periodicità almeno annuale.
– Almeno un incontro dedicato ogni sei mesi tra RLS/RSU, datore di lavoro, Dirigente, Rspp, Medico Competente ( in un intervallo non distante dall’ incontro tra RSU/RLS e lavoratori ) .
– Le misure di prevenzione devono essere individuate con la partecipazione degli RLS e/o dei lavoratori, ai sensi dell’Accordo Quadro Europeo del 2004 e dell’art. 50 comma 1 del D. Lgs 81/08 ed essere pianificate attraverso azioni concrete e verificabili nel tempo.
– Nei casi in cui la condizione di stress non può essere ulteriormente ridotta con misure organizzative, la sorveglianza sanitaria tutela gli individui che sono portatori di patologie suscettibili di aggravamento sotto il permanere dello stimolo stressogeno pertanto l’ RLS può richiedere al Medico Competente una particolare attenzione e sensibilità verso questi soggetti ( almeno fino a quando in quest’ultimi riscontri una riduzione della sintomatologia o comportamento ad esso collegato ) e proporre al MC, di diminuire il tempo normalmente stabilito per la visita periodica per gruppi omogenei (ad es. ogni anno invece che ogni due anni).
– Analizzare e stabilire con l’ impresa un regolamento nel quale si sancisca espressamente un utilizzo equilibrato della gestione posta elettronica e, se fattibile, stabilire delle fasce di orarie in cui non rispondere ai messaggi da dedicare ad altre attività che non prevedano necessariamente la connessione.
– Stabilire modalità organizzative in cui al lavoratore sia garantita la circolazione delle informazioni, la partecipazione alle attività sindacali e sociali aziendali.
Per concludere, è assoluta priorità per la Fiom Cgil stabilire un confronto con le imprese che intendono utilizzare il lavoro agile, proponendo degli accordi che siano propedeutici ad una gestione scrupolosa dei meccanismi e dei tempi di connessione/disconnessione durante l’ orario di lavoro, finalizzata, ad un esemplare compromesso sulla flessibilità in termini di orario, la produttività ed il diritto al riposo, la vita familiare e la privacy e in ultimo al mantenimento della socialità del luogo di lavoro anche se diffuso sul territorio.

P.la Fiom Cgil di Roma e Lazio
Cristian Belloro

 

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